Ci sono delle persone che lasciano un segno forte nella nostra vita, in particolar modo nel ramo professionale di essa.

Mi è capitato di nascere e crescere in una famiglia di mobilieri, mio nonno Michele era il titolare della azienda di famiglia, azienda che ha fondato insieme a sua moglie Maria negli anni del miracolo economico italiano. Anche se, in un paese di provincia del sud Italia il miracolo economico era meno miracoloso che altrove… Per prosperare in quel tempo era necessaria una dose di sacrificio e dedizione al lavoro fuori dal comune.

Crescendo, vivendo l’azienda, ho potuto constatare personalmente e sporcandomi le mani, quanto fosse duro e faticoso, quanto sacrificio e quante rinunce costassero il lavoro e la conseguente prosperità che esso aveva generato.

In effetti il primo ruolo che mi è stato affidato nell’azienda è stato quello del facchino, salire e scendere mobili per le scale, cassette degli attrezzi, sudare e sgobbare nelle calde giornate estive e nei pomeriggi dopo la scuola. In quel periodo non posso dire di aver amato quel lavoro, ma con il tempo ho imparato ad abituarmici, era una questione di sfida e di orgoglio, mettersi alla prova continuamente, dimostrarsi all’altezza; e quando sono riuscito a montare una cucina componibile o una armadio tutto da solo, mi sono sentito davvero gratificato dall’opera finita, nel curarne gli ultimi ritocchi e nel poter dire: Fatto!

C’è stato dunque un periodo nel quale pensavo che il lavoro del quale si occupasse la mia azienda fosse questo: consegnare ed installare mobili a casa dei nostri clienti. Ed ero diventato anche discretamente bravo in questo.

Ma prima di tutto, prima di questo, i mobili bisogna venderli, e qui è cominciata una nuova sfida. La formazione prima di tutto, la tecnica, capire di cosa stai parlando, imparare tutto di un determinato prodotto per poterlo illustrare, progettare e proporlo al cliente. Ed infine la trattativa, incontri colloqui, discussioni, proposte e controproposte. Infine l’accordo, la vendita, le pomesse da mantenere. La consegna, la risoluzione delle problematiche, la soddisfazione del cliente insieme con la mia.

Insomma, all’età di venti anni avevo un quadro definito di quella che sarebbe stata la mia carriera professionale. A quel tempo affiancavo mio nonno nell’attività, e cercavo di carpire ogni consiglio, ogni trucco del mestiere, confrontandolo con ciò che studiavo e che avevo studiato in passato. Avevo la presunzione di aver capito tutto. Di avere chiaro quello che sarebbe stato il mio lavoro, ed in buona parte, anche di come affrontarlo. Insomma, mi sentivo arrivato.

Poi un giorno mio nonno, che amava parlare con me, ed io ancor di più, adoravo ascoltarlo, mi disse:

 

Vedi, nel nostro lavoro, noi abbiamo la responsabilità di incidere positivamente sulla qualità della vita dei nostri clienti.

E fu allora quando capì che non ero arrivato da nessuna parte, anzi, il mio cammino era appena iniziato.

Domenico Morena

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